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Informazioni Generali

Crediamo che l’Italia non sia condannata alla decadenza ma abbia in sé la forza per rialzarsi, per dare risposte innovative ed efficaci ai grandi problemi sociali, economici, ambientali, civili che l’assillano e ritrovare così un futuro all’altezza della sua storia, per partecipare da protagonista alla costruzione di un’Europa democratica e federalista.

Per curare i mali italiani – lavoro che manca, politica screditata, Stato e servizi pubblici inefficienti, illegalità diffusa, merito ignorato, ambiente e territorio maltrattati, città degradate – servono scelte pubbliche di profondo, radicale cambiamento, che restituiscano ai cittadini speranza nel futuro e riannodino il legame fiduciario oggi spezzato tra rappresentati e rappresentanti.

Il malcontento e la protesta sempre più diffusi sono reazioni giustificate, come legittima e fondata è la sfiducia crescente verso la politica, incapace di offrire soluzioni efficaci alla crisi molteplice di questi anni. Malcontento e protesta sono legittimi, ma da soli non producono il necessario cambiamento. L’Italia sembra prigioniera di una palude immobile, il nostro obiettivo è contribuire con idee e proposte simboleggiate dalla parola “green” – già largamente presenti nel dibattito pubblico europeo – ad un progetto politico di forte innovazione che aiuti gli italiani a liberarsi dalla palude e a ritrovare la via di un futuro desiderabile.

Noi promotori di questo “manifesto” siamo cittadine e cittadini italiani con diverse – o con nessuna – esperienze politiche alle spalle. A unirci non sono le convinzioni del passato, a unirci è una stessa idea di futuro che finora in Italia non ha trovato spazio nella politica ma che in Europa è già fatta propria da partiti e movimenti: a questa idea abbiamo dato il nome di GREEN ITALIA. Il nostro obiettivo è offrire agli elettori italiani un’altra scelta da quelle oggi disponibili: la scelta di un progetto politico fondato sull’idea di un “green new deal” per l’Italia, sulla convinzione che questa prospettiva sia la più efficace e realistica per il nostro Paese, sulla speranza che la nostra presenza renda più “green” anche le forze politiche tradizionali.

Siamo GREEN perché pensiamo che un “green new deal”, un patto rinnovato per lo sviluppo nel segno di un uso sostenibile delle risorse naturali, dell’impegno per salvaguardare gli equilibri del clima e degli ecosistemi, della “green economy”, dell’equità sociale, del rispetto per i diritti e gli interessi delle generazioni future, sia oggi in Italia e nel mondo la premessa indispensabile per dare ancora senso e futuro all’idea di progresso.

Siamo GREEN perché ci battiamo per la difesa e la valorizzazione dell’ambiente, del paesaggio, delle città, del patrimonio culturale: nostre ricchezze impareggiabili e simboli universali di bellezza, calpestati da decenni di aggressioni e di incuria.

Siamo GREEN perché vogliamo difendere e allargare lo spazio sociale e civile dei beni comuni: “beni” materiali come l’aria, l’acqua, il suolo; “beni” immateriali come la legalità, l’istruzione, la coesione sociale, la parità di diritti per le persone cui devono aggiungersi valori di più recente acquisizione sociale ma già radicati nella mentalità degli individui e delle comunità come il rispetto per gli equilibri ecologici o l’attenzione verso il benessere degli animali. I beni comuni non possono essere privatizzati, né per usarli come merci né per sottometterli a logiche e interessi di parte.

Siamo GREEN perché crediamo nell’ecologia della politica. Nessun vero rinnovamento sociale, economico, civile sarà possibile in Italia senza “disinquinare” la politica, senza ripulirla da corruzioni, abusi di potere, conflitti d’interesse, illegalità favorite o tollerate.

Siamo GREEN perché pensiamo che solo liberando le energie, le capacità, le speranze dei giovani, oggi relegati ai margini della politica, dell’economia, del welfare, si possa sconfiggere il groviglio di conservatorismi, clientelismi e rendite di posizione che tiene imprigionata l’Italia.

Siamo GREEN come il colore della rabbia e della speranza: la rabbia di vedere il nostro Paese paralizzato da classi dirigenti che affrontano i grandi problemi di oggi con la stessa mentalità che tali problemi ha concorso a determinare; la speranza di affermare le ragioni “green” come base per un vero riscatto dell’Italia.

1. GREEN NEW DEAL: LA SFIDA PER IL FUTURO

L’Unep, l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente, così definisce il “green new deal”: un patto in forza del quale “benessere ed equità sociale convivono con una significativa riduzione del rischio ecologico e della pressione sulle risorse naturali. La crescita, il reddito, l’occupazione sono guidate da investimenti pubblici e privati che riducono le emissioni e l’inquinamento, usano l’energia in modo più efficiente ed evitano la perdita di biodiversità”.

Il “green new deal” è una necessità inderogabile per fronteggiare i crescenti problemi ambientali del nostro Pianeta: la crisi climatica ormai conclamata, prodotto di un modello energetico non più sostenibile basato sul petrolio e sui combustibili fossili; la perdita accelerata di biodiversità e il consumo eccessivo di suolo naturale; l’inquinamento atmosferico che colpisce specialmente le grandi aree urbane; l’impoverimento, in quantità e in qualità, delle risorse idriche.

L’uomo – questa la consapevolezza da raggiungere – è parte di un ecosistema delicato e “finito”, il benessere di noi contemporanei e quello delle future generazioni dipendono dalla capacità di salvaguardare il capitale naturale e gli equilibri ecologici. Il modello tradizionale di una crescita quantitativa illimitata delle produzioni e dei consumi è reso tanto più insostenibile dalle dinamiche attuali dei processi di globalizzazione: l’affermazione sulla scena economica mondiale di nuovi, grandi Paesi produttori e consumatori – dalla Cina all’India, dal Brasile all’Indonesia – rappresenta al tempo stesso una fortuna e una minaccia. E’ una fortuna che decine di milioni di esseri umani ogni anno si liberino dalla miseria e accedano a condizioni di vita dignitose; ma questo mutamento epocale diventa una minaccia se moltiplica senza limiti la pressione antropica sugli ecosistemi. Per tutto questo, per fermare la crisi ecologica e contrastare con efficacia le immense ingiustizie sociali che segnano il mondo attuale, bisogna trasformare le basi dello sviluppo economico: utilizzando al meglio i progressi della tecnologia per produrre più ricchezza riducendo la pressione sul capitale naturale; favorendo la transizione dall’attuale modello energetico basato sui combustibili fossili e disattento all’efficienza, che alimenta la crisi climatica e fa crescere l’inquinamento, a un nuovo modello, già largamente sperimentato, che privilegi l’efficienza energetica e l’uso delle energie rinnovabili; ridimensionando il peso dell’economia finanziaria, lasciata crescere senza limiti, regole, controlli; riformando i sistemi fiscali attraverso una riduzione del carico tributario su lavoro e imprese e una più forte tassazione dei grandi patrimoni finanziari e immobiliari e delle attività produttive più inquinanti; concentrando gli investimenti pubblici e privati nella produzione di beni e servizi ad elevata qualità ecologica, che diano lavoro e nello stesso tempo contribuiscano al miglioramento ambientale; promuovendo stili di vita e di consumo che privilegino la qualità del benessere e superino a un consumismo fine a se stesso, e incentivano tutte le forme di “green public procurement” (gli acquisti “verdi” delle pubbliche amministrazioni); favorendo, attraverso una solida “agenda digitale”, la diffusione della possibilità e della capacità di utilizzo delle nuove tecnologie largamente immateriali della comunicazione e dell’informazione. Soltanto così sarà possibile avvicinarsi a un mondo nel quale tutti possano soddisfare i propri bisogni e in cui l’uomo ritrovi una rapporto equilibrato, non distruttivo con l’ambiente.

Questi indirizzi sono alla base della cosiddetta “green economy” e sono il cuore del “green new deal”. Essi sono, anche, una delle risposte più avanzate alla drammatica crisi economica e sociale che investe in particolare l’Europa: insieme all’educazione, alla cultura, alle tecnologie digitali, infatti, proprio i settori legati alla “green economy” – dall’innovazione energetica all’agricoltura biologica, dalla mobilità sostenibile alla cura del territorio, dalla conservazione delle aree protette alla chimica verde, dal riciclaggio dei rifiuti alla rigenerazione urbana – si dimostrano tra i più adatti a creare nuovi posti di lavoro e a rilanciare la capacità competitiva dell’economia europea.

2. GREEN NEW DEAL: LA SFIDA PER L’ITALIA

Il “green new deal” è una scelta ancora più urgente e decisiva nel caso dell’Italia.

L’Italia è immersa in una crisi profondissima, probabilmente la più grave nei settant’anni della repubblica. E’ una crisi certo collegata a quella globale ma con radici spiccatamente italiane, caratterizzata da una prolungata recessione economica, da un deciso aggravamento delle diseguaglianze sociali, da un livello elevato di disoccupazione e da una disoccupazione giovanile del 40% che ci vede agli ultimi posti in Europa, da un debito pubblico elevatissimo per i cui interessi lo Stato paga ogni anno l’equivalente di un terzo di tutte le entrate fiscali dirette. A questa condizione di disagio e sofferenza socio-economica si sommano mali civili non meno acuti: diffusa corruzione; illegalità endemica dall’evasione fiscale alla criminalità organizzata; scarsa efficienza e scarsissima autorevolezza delle istituzioni pubbliche; sfiducia dilagante dei cittadini nella politica.

Anche in campo ambientale l’Italia vive una crisi ecologica che non è solo il riflesso dei problemi ambientali planetari: le nostre città sono tra le più inquinate d’Europa; buona parte del territorio è in uno stato di dissesto cronico; il nostro patrimonio edilizio presenta standard particolarmente mediocri sia in termini di rendimento energetico che di sicurezza antisismica; abbiamo un sistema dei trasporti che privilegia del tutto la mobilità su gomma con costi ambientali e di efficienza assai pesanti; in particolare nel Sud permane una profonda arretratezza delle infrastrutture ambientali primarie dalla depurazione delle acque alla gestione dei rifiuti; siamo assediati da fenomeni di illegalità ambientale – l’abusivismo edilizio, l’azione devastante delle ecomafie – che almeno in questa forma e dimensione sono altrove sconosciuti.

Eppure l’Italia per la sua storia, per alcuni caratteri originali della sua struttura economica e sociale, ha una vocazione speciale al “green new deal”.

Se è “green” l’economia che produce benessere e prosperità senza intaccare il capitale naturale, allora si può dire che l’Italia l’economia verde l’ha inventata, l’ha praticata con successo, prima di tutti gli altri: è la “green econmy” che da secoli produce ricchezza utilizzando come materie prime la bellezza, la creatività, la convivialità, la qualità urbana, il legame sociale e culturale tra economia e territorio; materie prime immateriali e dunque ecologiche, talenti dei quali abbondiamo e che oggi sono la nostra arma migliore, forse l’unica vera arma su cui possiamo contare, contro i rischi di declino.

Per dare un futuro solido e sostenibile all’economia italiana bisogna che questa “lezione”, su cui già oggi migliaia di imprese costruiscono successo, competitività, capacità di resistere meglio alla crisi, diventi l’anima delle politiche per un rinnovato ma diverso sviluppo. Dobbiamo archiviare per sempre il “modello-Ilva” – lavoro contro salute – e l’idea, illusoria oltre che eticamente inaccettabile, che la strada per accrescere la nostra capacità competitiva sia nei bassi salari e nella riduzione dei diritti sindacali. L’Italia, insomma, deve ricominciare a “fare l’Italia”, puntando sulle sue vocazioni ed eccellenze – manifattura ed agricoltura di qualità, turismo, economia della cultura, ricerca e innovazione tecnologica –, e rischiarando le sue troppe zone d’ombra che gravano anche sulla vita economica: illegalità, inefficienza dello Stato, debolezza dei sistemi educativi e formativi, arretratezza e insostenibilità ambientale della rete dei trasporti, pessimo stato, particolarmente nel Sud, delle infrastrutture ambientali (acquedotti, depurazione delle acque, gestione dei rifiuti).

Così, per noi un “green new deal” italiano non può prescindere dall’indicazione e dal perseguimento di obiettivi di profonda innovazione in campo ambientale. Tra questi: il 100% di energia rinnovabile entro il 2050; il miglioramento di almeno il 30% del rendimento energetico del patrimonio edilizio esistente entro vent’anni e standard di edilizia a energia “quasi-zero” per il nuovo costruito dal 2020; azzeramento del consumo di nuovo suolo entro il 2030; priorità assoluta al recupero di materia nella gestione dei rifiuti; spostamento di almeno il 20% entro 10 anni del trasporto di passeggeri e merci dai veicoli privati a motore tradizionale alle diverse forme e tipologie di mobilità sostenibile (trasporto pubblico urbano, trasporto in comune come “car-sharing” e “car-pooling”, mobilità ciclabile, ferrovia, cabotaggio, veicoli a trazione elettrica).

Per attuare questi cambiamenti radicali servono nuove classi dirigenti: nuove nell’anagrafe e nuove, soprattutto, nella mentalità. Ma la forza decisiva per il rinnovamento di cui ha bisogno l’Italia è nelle donne e negli uomini che nel loro lavoro, nelle loro scelte di consumo, nel loro impegno civico già oggi fanno vivere un’Italia “green”: imprenditori e lavoratori della “green economy”, amministratori locali che sui temi legati alla qualità ambientale – consumo di suolo, rifiuti, mobilità – sperimentano politiche di avanzata innovazione, insegnanti ed artisti impegnati ogni giorno a trasmettere il valore della cultura e della bellezza, movimenti che si battono per salvare i propri territori dal degrado e da opere e scelte pubbliche distruttive, consumatori che si organizzano nei “gruppi di acquisto solidale” proponendo nuovi modelli di consumo critico, comitati degli utenti del trasporto ferroviario “pendolare” che rivendicano servizi di trasporto pubblico efficienti, agricoltori biologici… Questi mondi sociali e civili, pochissimo rappresentati in politica, sono, devono essere i primi costruttori di un “green new deal” che parla italiano.

3. ECOLOGIA DELLA POLITICA, DELLA SOCIETA’, DELLA CITTA’

Un vero, credibile “green new deal” non può essere solo economia: deve utilizzare la stessa chiave “ecologica” – ecologia come trasparenza dei processi pubblici, ecologia come interdipendenza di tutte le forme di vita associata – per rendere più eque, sostenibili, efficaci le dimensioni pubbliche da cui dipende il benessere delle persone e delle comunità, dalla politica all’organizzazione sociale alla città.

Occorre una robusta ecologia della politica, che ridia dignità e forza ai compiti di rappresentare la volontà dei cittadini e di esercitare le funzioni pubbliche oggi screditati più che mai, e in Italia più che altrove, da una politica e da una pubblica amministrazione che recano stimmate evidenti di arretratezza culturale e di una generale caduta dell’etica pubblica. Una svolta così è indispensabile se si vuole che nella società, nell’economia, nella politica italiane l’interesse generale, il merito e le capacità personali contino di più di affarismi, clientelismi e familismi, ed è l’unico antidoto efficace contro i rischi che si affermino visioni e posizioni populiste, plebiscitarie, cesariste, o peggio ancora che finisca sotto accusa l’idea stessa della rappresentanza democratica. Per rinnovare la politica servono, com’è ovvio, politici rinnovati – “portatori sani” di idee contemporanee, di onestà personale, di competenza – e serve aprire sempre di più le forme della partecipazione politica alla cittadinanza attiva, agli strumenti della democrazia diretta, alle possibilità inedite di scambio e condivisione offerte dalle tecnologie della comunicazione e dell’informazione.

Centrale nella nostra visione di un “green new deal” è poi la cura di beni comuni immateriali che consideriamo imprescindibili per ogni prospettiva di progresso: la legalità, la libertà e i diritti delle persone, la coesione sociale. L’Italia è assediata da fenomeni di illegalità profonda e diffusa: dall’illegalità criminale delle organizzazioni mafiose, all’illegalità diffusa della corruzione, dell’evasione fiscale o dell’abusivismo edilizio, fino all’illegalità “di Stato” di una giustizia troppo spesso inefficiente, di un sistema carcerario indegno di un Paese civile o dei tanti conflitti d’interesse tra funzioni pubbliche e interessi privati. Questa condizione è un danno grave per la vita delle persone, per la convivenza sociale, per la stessa vita economica, ed è uno dei grandi ostacoli che impediscono al nostro Paese di evolvere, di modernizzarsi alla stessa velocità del resto d’Europa. Analogamente, vanno rimosse con urgenza le barriere che negano a milioni di cittadini, per motivi di genere, di origine familiare, di orientamento sessuale la possibilità di vedere riconosciuti fondamentali diritti – nel lavoro, nella famiglia, nell’accesso al welfare – e di perseguire pienamente e liberamente i propri progetti di vita. Tali discriminazioni sono non soltanto moralmente inaccettabili, ma rendono l’Italia molto più debole nello sforzo per superare la sua condizione attuale di acuta difficoltà sociale ed economica.

Dare concreta applicazione al principio delle pari opportunità per tutti i cittadini: questo dev’essere anche il criterio fondamentale per salvaguardare, ammodernandoli, i nostri sistemi di welfare. Lo “stato sociale”, l’idea in parte realizzata che la salute, l’educazione, la previdenza, l’assistenza in caso di speciali difficoltà siano diritti di cittadinanza universali, sono la conquista civile e democratica più preziosa ottenuta dall’Europa nei suoi quasi settant’anni di vita associata. Oggi in Italia e in tutta Europa questo presidio decisivo e insostituibile della coesione sociale è minacciato: dall’erosione progressiva delle risorse finanziarie pubbliche disponibili per la spesa sociale, dall’aumento rapido e continuo della povertà, dal ritardo con il quale finora si è proceduto alla riforma, necessaria ed urgente, degli attuali modelli di welfare. Per tutto questo, sono ormai inderogabili riforme incisive che realizzino il passaggio dal welfare delle pari prestazioni per tutti – economicamente non più sostenibile – al welfare delle pari opportunità, e garantiscano a chiunque perda il lavoro, ai giovani in attesa di trovarlo, a chi svolge lavori di cura familiare non retribuiti un reddito minimo di cittadinanza.

Come la politica, come l’organizzazione sociale, così le città italiane hanno altrettanto bisogno di una forte iniezione di ecologia. Abbiamo i centri storici più belli del mondo ma le periferie più brutte d’Europa, e in generale le nostre città sono oggi uno dei simboli più eloquenti dei mali italiani: consumo di suolo a ritmi elevatissimi; scelte urbanistiche quasi sempre dettate più da ristretti, potentissimi interessi speculativi che dall’interesse generale; gestione dei rifiuti che vede affiancate esperienze di assoluta eccellenza a molte altre, soprattutto nell’Italia centrale e meridionale, di desolante arretratezza; cronica e generalizzata inefficienza dei servizi di mobilità pubblica che determina congestione del traffico e livelli di inquinamento sistematicamente superiori alle soglie di legge e di rischio sanitario. Da troppo tempo l’Italia è priva di politiche generali e coordinate per le città: bisogna rapidamente rimediare a questa “assenza”, perseguendo come primi e più urgenti obiettivi un programma di forte incentivo a una mobilità urbana rinnovata che punti sul trasporto pubblico e sulle altre forme di mobilità sostenibile (car sharing, car pooling, ciclabilità) e l’adozione di nuovi indirizzi e regole in campo urbanistico che limitino fortemente il consumo di suolo e favoriscano la rigenerazione degli spazi urbani più degradati e problematici. Al tempo stesso, dopo troppi anni di tagli sistematici ai trasferimenti di risorse dallo Stato centrale agli enti locali, bisogna sostenere i compiti dei Comuni con adeguate risorse pubbliche anche attraverso una revisione delle regole, oggi eccessivamente rigide, del cosiddetto patto di stabilità interno. Il “green new deal” italiano non può non avere le città come protagoniste: avamposti dell’innovazione energetica, laboratori avanzati di mobilità sostenibile, “smart city” per mettere l’innovazione tecnologica al servizio della qualità della vita delle persone. Solo così la vocazione urbana dell’Italia troverà un senso pienamente contemporaneo.

4. PER L’EUROPA, OLTRE QUESTA EUROPA

Perché l’Europa scelga la via di un “green new deal”, occorre un cambiamento radicale delle politiche europee. L’Unione europea è un punto di partenza prezioso e irrinunciabile, e anche in campo ambientale ha rappresentato un grande fattore di spinta, di progresso ponendo le basi per un quadro di regole, di politiche pubbliche, di buone pratiche senza eguali nel mondo. Ma questa Unione europea, per l’appunto, è solo un punto di partenza, e oggi di fronte alla crisi economica e sociale in atto da anni, di fronte alla globalizzazione che rischia di marginalizzare il ruolo geopolitico del “vecchio continente”, di fronte alla crisi climatica sempre più incombente, serve una Europa assai diversa da quella attuale: una Europa federalista che smetta di percepirsi come associazione provvisoria di Stati sovrani, che tragga forza e legittimità da istituzioni non nominate dai Governi nazionali e dalle burocrazie comunitarie ma elette democraticamente; una Europa società aperta e solidale che si offra come luogo privilegiato di incontro tra Nord e Sud, tra Oriente e Occidente; una Europa che smetta di basare le sue strategie contro la crisi economica sulla sola ricetta del rigore di bilancio, che in assenza di forti politiche per il lavoro, lo sviluppo sostenibile, la lotta alla povertà porta più danni sociali ed economici che vantaggi. Fuori da queste scelte e da questo coraggio, non resta che uno scenario: quello di una Europa che come in molti Paesi sta già avvenendo cede terreno all’avanzata delle forze populiste e xenofobe, e il cui peso rimpicciolisce sempre di più nel mondo globalizzato.

Noi GREEN crediamo in una Europa “glocal”. Consideriamo le identità locali, nazionali come complementi insostituibili di una più larga “patria” europea, guardiamo ad esse come alla garanzia di una globalizzazione che non produca omologazione ma anzi valorizzi le differenze. Per noi globalizzazione e identità sono bisogni inscindibili, nella loro necessaria compenetrazione vive la possibilità di conservare senso all’idea di progresso. Come italiani, possiamo avvertire con una forza speciale questa consapevolezza: siamo gli eredi e i custodi delle mille città, dei mille territori che fanno dell’Italia un grande, prezioso, inimitabile mosaico. Luoghi di identità, di storie, di economie tutte diverse e tutte a loro modo uniche, luoghi chiamati oggi a confrontarsi con i flussi della globalizzazione: per l’Italia e in generale per l’Europa, davvero, la via alla “buona globalizzazione” non può che essere “glocal”.

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